Omelia Solennità Immacolata Concezione 2020, 8 dicembre 2020 (Lc 1,26-38)

 
Ave Maria!

Il filosofo danese, Soren Kierkegaard paragonava i dogmi della Chiesa a splendide dame che dormono un sonno fatato: occorre un cavaliere che le ridesti con un bacio d’amore perché balzino in piedi in tutta la loro bellezza e profondità di vita, anche per la fede. Anche noi, che celebriamo oggi la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, dovremmo avere il coraggio e l’anima dei “cavalieri della fede” per celebrare degnamente, con spirito di fede e di gratitudine a Dio, questa festa che imbarazza molti dei nostri contemporanei e forse anche tanti cristiani che non capiscono appieno il senso e l’importanza di questo dono, teologico e antropologico, che è Maria per la nostra fede. Ancora prima della promulgazione solenne del dogma, l’8 dicembre 1854, da parte del beato Pio IX, è il popolo cristiano, insieme ai teologi e ai santi, che, guidato e fortificato dallo Spirito Santo, ha creduto, lungo i secoli della storia della Chiesa, a questa verità di fede e se ne è appropriato, difendendolo, ben al di là della prudenza della Chiesa stessa. Sarebbe un lungo, anche se affascinante, discorso che ci porterebbe molto lontano con il tempo che abbiamo a disposizione, ma che ci farebbe entrare, credo, con più consapevolezza nel mistero che celebriamo.

Tuttavia, proprio la storia di questa appropriazione e difesa dell’Immacolata Concezione di Maria, da parte della fede del popolo di Dio, impone una domanda di grande rilievo antropologico: che cosa ha difeso, questo popolo di Dio, nell’Immacolata Concezione? Certamente qualcosa di suo, come afferma il grande mariologo Stefano De Fiores, qualcosa a cui teneva come ad un valore inalienabile, ovvero che apparteneva al suo stesso essere, alla sua vicenda storica, al suo ideale o alla identità cristiana. Nell’Immacolata, in altri termini, il popolo di Dio ha visto qualcosa di irrinunciabile, e certamente grazie all’azione dello Spirito Santo che sviluppa e getta sempre più luce nel mistero della nostra salvezza in Cristo: l’appartenere di Maria, per grazia divina, ad uno spazio di salvezza e di santità, nonostante il peccato del mondo, nonostante il male che affligge e inquieta la storia umana. Così, nel difendere tenacemente il mistero mariano, il popolo di Dio ha espresso la coscienza della sua essenziale dimensione storica e religiosa, segnata, se vogliamo, da scelte giuste o errate, sagge o malvagie, ma comunque sempre viventi nel disegno di Dio, nella sua generosità e misericordia verso l’essere umano sempre in procinto di perdersi.
Questo popolo di Dio, dunque, ha mostrato nei secoli l’alta considerazione in cui teneva la Madre del Signore, perché, allo stesso tempo, compiva una professione di fede nella potenza salvifica di Gesù Cristo. Emetteva così un atto di speranza nel trionfo del bene sul male, per cui coltivava la fede in un esempio di creatura prediletta dal Padre che diviene dono d’amore per l’umanità.

Di fatto, non potremmo comprendere l’Immacolata senza raccordarla necessariamente con Cristo, punto focale di tutto! Nel mistero pasquale di Cristo, infatti, Egli è salvatore anche di sua Madre. Tutt’altro che eccezione o negazione dell’universale necessità di redenzione ad opera di Cristo, come dirà egregiamente il Concilio Vaticano II, l’Immacolata concezione implica che Maria sia “congiunta nella stirpe di Adamo a tutti gli uomini bisognosi di redenzione” (Cfr. Lumen gentium, 53) e abbia ricevuto, nella sua radicale incapacità di autosalvezza, la grazia più potente che si possa immaginare. E’ quanto aveva compreso, tra l’altro, il teologo francescano Duns Scoto, oggi beato, che mostra la potenza salvifica di Cristo in quanto previene il peccato invece di cancellarlo una volta avvenuto. Maria Immacolata è la più grande “perdonata” perché è il più grande perdono di Dio. Secoli e secoli dopo, S. Teresa di Lisieux riuscirà a vedere come “perdono” anche l’assenza del peccato “attuale” o ordinario: l’innocente è colui che è stato perdonato nell’eterno dai peccati che non commetterà nel tempo perché il divino Amore li ha distrutti. In effetti, l’ultima ragione dell’Immacolata concezione resta l’amore gratuito di Dio.

Era conveniente, dopo tutto, che Colei che doveva generare il Verbo di Dio seconda la natura umana e accoglierlo, esemplarmente, nella fede, - anzi cooperare con Lui alla salvezza degli uomini -, fosse del tutto esente dal peccato. Non si tratta di questione temporale o di istanti, ma del mistero della predestinazione di Maria, perché soltanto lei, “in virtù della sua missione e delle sue qualità personali, si trova nel punto in cui Cristo iniziò la redenzione vittoriosa e definitiva dell’umanità. Perciò il dogma dell’Immacolata concezione è un capitolo della dottrina stessa della redenzione e il suo contenuto costituisce la forma più radicale e perfetta di redenzione” (Karl Rhaner). Dunque, Maria è salvata per pura grazia, in Lei tutto è amore preveniente. Così, qualche anno dopo, l’Angelo Gabriele la potrà salutare come “pina di grazia”. Forse ne siamo meravigliati, ancora oggi, ma la Sacra Scrittura non ci rivela nulla del concepimento di Maria perché gli inizi della vita sono sempre nelle mani di Dio.

A noi spetta, anzitutto, di adorare il Signore, il Signore più forte di ogni morte e ogni male, il Signore della vita, della vita sovrabbondante di grazia che, nella Vergine Maria, realizza il senso fecondo della vita stessa e della storia. Maria è, quindi, la personificazione della Chiesa, ed è soprattutto in Lei che noi, credenti di ogni tempo e d’ogni luogo, possiamo comprendere quanto il Signore rivela e realizza anche nella nostra stessa vita. Bisogna partire, però, dall’adorazione: adorare è la nostra prima e profonda risposta della nostra fede alla gratuità e alla generosità di quell’amore che il Padre riversa su tutti noi. Chiediamo alla Santa Vergine Immacolata, di insegnarci ad adorare, Lei che è il silenzio, il raccoglimento dell’anima, il respiro dello Spirito Santo. Perché il silenzio è il primo linguaggio dell’amore, e cioè quando la sua sorgente comincia a sgorgare per cantare, dopo, nei prati e nei giardini. E rimane, in questo senso, estremamente attuale, anche sotto il profilo ecumenico, quanto diceva san Massimiliano Kolbe, grande innamorato dell’Immacolata e martire ad Auschwitz: “ La Madonna esiste perché si conosca meglio lo Spirito Santo”.

 

don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 8 dicembre 2020

    

 

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